Passeggiando in campagna in primavera inoltrata è facile imbattersi, specie in prossimità di canali o zone acquitrinose, in folti gruppi di piante a foglie larghe, di colore verde scuro, con appariscenti fiori bianchi. Sorta di fazzoletti inamidati che emergono dal suolo ripiegandosi a conca intorno ad uno stelo centrale giallo e carnoso. L’incontro non è affatto raro, senza dover andare in campagna, anche lungo i bordi delle strade delle periferie cittadine o sui muretti di contenimento, dove l’acqua piovana si raccoglie favorendo lo sviluppo della vegetazione. Se l’impollinazione è stata effettuata con successo, i fiori, nel giro di un mese, cedono il posto ad un grappolo di frutti verdi in cima ad uno stelo di una ventina di centimetri, i quali, in estate, sono di un vivido rosso-arancio. La pianta in questione è Arum italicum, nota anche col nome, un tempo comune, di gigaro.
Da essa prende il nome un’intera famiglia di piante, le Araceae, caratterizzate da infiorescenze simili nella struttura a quelle su descritte e comprendente allo stato attuale 104 generi suddivisi in circa 3500 specie distribuite per tutto il globo terrestre: dagli altipiani dell’Hymalaia alle foreste del Borneo, dalle paludi nordamericane fino in Amazzonia, nell’Europa del nord fino a tutto il bacino del Mediterraneo.
Le Aracee variano sensibilmente per aspetto e dimensioni, spesso presentando forti caratteristiche di adattamento all’habitat specifico, e costituiscono un vero e proprio mondo di piante, soltanto accomunate dall’infiorescenza a spata- spadice. Piante terrestri, acquatiche, epifite, rampicanti, striscianti, con radici tuberose, stolonifere, rizomatose, foglie composte e semplici, e ancora infiorescenze profumate o maleodoranti, addirittura che si riscaldano – come il Symplocarpus foetidus – per bucare la coltre nevosa. Davvero ce n’è per tutti i gusti.
Di tale varietà càpita che abbiamo tutti esperienza quotidiana. Difatti, aracee sono i Philodendron, che in assenza di alberi veri e propri, nei nostri appartamenti, si arrampicano su sostegni di fibra di cocco; gli Spathyphyllum; le Dieffenbachia con le loro foglie variegate; le “orecchie d’elefante”, appartenenti ai generi Colocasia e Alocasia; l’insolita Zamioculcas; le Cryptocorine e le Anubia in uso come piante da acquario.
Singolarmente, però, dalla coltivazione per scopi ornamentali rimangono di fatto escluse le specie da fiore, relegate al rango di mere bizzarrie per collezionisti a caccia di rarità. Disgraziatamente, poiché concesso che la bizzarria non possa essere di per sé considerata un buon motivo per desiderare di avere una pianta in giardino, è anche vero che la rarità è determinata dal disinteresse degli stessi vivaisti e che molti fra questi fiori sono belli secondo canoni estetici classici. Tanto da meritarsi, ufficialmente da Linneo in poi, l’appellativo di “draghi”.
Il genere Amorphophallus, diffuso nel sudest asiatico, annovera senz’altro gli elementi più notevoli da questo punto di vista. Su tutti l’A.titanum, il quale detiene contemporaneamente il record del “fiore” più colossale del mondo (fino a 46 kg!) e quello di visitatori che affollano l’orto botanico nel quale capita che questo venga a fiorire in cattività. L’evento continua a far notizia dato che sono davvero pochi gli orti botanici che annoverano questa pianta nelle loro collezioni, sebbene la stessa non abbia particolari esigenze colturali, per la difficoltà nel reperire materiale di propagazione.
Senza esagerare nelle dimensioni, altre specie, come A.konjac, A.bulbifer, A.yunnanense o A.paeonifolius, potrebbero essere tranquillamente coltivate nei giardini della nostra penisola, non solo per i loro fiori ma anche per il loro vivace fogliame o, addirittura, per i tuberi mangerecci (l’A.paeonifolius è largamente consumato in India, dov’è noto col nome di Suran)
Tra i generi da rivalutare, Arisaema, tra cui le specie assai rustiche A.candidissimum, A.sikokianum e A.griffithii, è senz’altro in primo piano. Tali piante potrebbero essere impiegate per creare lussureggianti macchie in zone di penombra, arricchite da abbondanti fioriture in primavera o estate. Lo stesso dicasi per Lysichiton, amante dell’umidità, con grandi fiori gialli (L.americanus, nord USA) o bianchi (L.camstschatcensis, Kamchatca).
Senza andare lontano, molte tra le specie di Arum presenti nell’area mediterranea sarebbero degne di maggiore considerazione: A.creticum, A.dioscoridis, A.palaestinum, giusto per citarne alcuni, e, rimanendo dentro ai confini nazionali, Arum pictum e Dracunculus vulgaris (= Arum dracunculus). Noto come serpentaria, nome originato dalla credenza popolare secondo cui i serpenti troverebbero riparo sotto le sue fronde, D.vulgaris vive in fitte colonie all’ombra di formazioni cespugliose (tipicamente di lentisco o di tamerice) in zone aride e sabbiose, ove trova le condizioni ottimali per il proprio sviluppo: riparo dal vento, che causerebbe un’eccessiva traspirazione, suolo fertile e umido durante il periodo di vegetazione e al contempo ben drenante durante la dormienza autunnale.
In febbraio, il tubero emette un fusto che nelle piante adulte raggiunge in media i 4 cm di diametro e 1,5 m di altezza, su cui si innestano le foglie divise, venate di bianco. In tarda Primavera dalla cima del fusto emerge un’infiorescenza con una spata sfrangiata rosso porpora all’interno e uno spadice scuro, lunga fino a 60 centimetri (mediamente sui 30cm) in esemplari coltivati. L’effetto visivo di un gruppo in fioritura è notevole, e difatti l’utilizzo di questa specie è abbastanza frequente, in Inghilterra e Stati Uniti, come elemento decorativo nei giardini di gusto esotico. Unico deterrente: l’odore, simile a quello di crostacei andati a male, che l’infiorescenza emana per qualche ora dopo l’apertura per attirare mosche ed altri insetti che ne effettuino l’impollinazione.
Arum pictum, endemico della Sardegna, è invece un Arum di medie proporzioni con belle foglie lanceolate, finemente venate, che fiorisce in Autunno all’inizio della stagione vegetativa. La livrea è simile a quella della serpentaria, ma la spata è più piccola e ha il dorso bianco.
Tra gli altri “draghi”, presenti in Italia allo stato spontaneo, menzione speciale spetta senz’altro all’Helicodiceros muscivorus. Abitante delle pareti rocciose sulle coste della Sardegna e della Corsica, da cui si spinge fin su sperduti isolotti al largo, quest’aracea, dall’anonimo fogliame, sfoggia una spettacolare infiorescenza che è un capolavoro di mimesi evolutiva. Grande fino a 50 cm, si apre in Primavera, durante le ore più calde del giorno, emanando un forte odore di putrefazione, e dal centro della spata, irsuta e screziata, dispiegata perpendicolarmente allo pseudo-calice, fa capolino un lungo spadice peloso. Tutti gli elementi fanno sì che le mosche ritengano si tratti dell’orifizio anale di un animale morto, ed entrandovi per deporre uova o bigattini queste provvedono all’impollinazione.
Anche se l’odore persiste solo per qualche ora dall’apertura, H.muscivorus non può essere considerato come ornamentale dato che il fiore, pur impressionante, è poco durevole… se però volete avere in giardino una pianta per cui invitare i vostri vicini e farne argomento di conversazione, questa è quella che fa per voi.
Tommaso Svaldi è un esperto di casa e giardino che gestisce un blog online dove pubblica guide dettagliate su vari argomenti. Le guide di Tommaso sono apprezzate dai suoi lettori per la loro semplicità, chiarezza e precisione. Ogni guida fornisce informazioni dettagliate, passo dopo passo, per aiutare i lettori a completare progetti di costruzione o di manutenzione in modo efficace ed efficiente.